Ieri... oggi, è già domani | 03 marzo 2021, 06:00

... i petardi...

Lo sguardo va incontro alla ferrovia ed al treno che arranca stanco verso la stazione Nessuno in giro.

... i petardi...

Il sole è "morbido", stamani. L'aria "punge". Non fa freddo, ma è bene scrollarsi da dosso l'apatia della notte, quando l'indifferenza nei confronti dei sentimenti, è totale. Lo sguardo va incontro alla ferrovia ed al treno che arranca stanco verso la stazione Nessuno in giro. Raccatto qualche ricordo di quand'ero ragazzo, per motivare la differenza del tempo, quando taluni episodi che sembrano noti in realtà si "deformano" proiettando la vita in altre realtà.

Ricordo le scorribande di fanciullo, specie quelle consumate al calare della nebbia. Si scivolava tra i binari per scovare i petardi che il casellante poneva a distanza controllata, a intermittenza tra una rotaia e l'altra. E per quale motivo? Viene da sorridere solo a spiegarlo; specie in un'epoca dove le macchine hanno stravolto certe abitudini che -allora- sembravano consolidate.

La funzione del "petardo" era quella di avvisare il controllore in stazione, che il treno stava per giungere. Null'altro. Oggi è impensabile tutto ciò. La programmazione per il transito dei convogli è orchestrata da computer, come si fa cogli aerei o con le navi, affinché anche il traffico avesse un ordine a cui ubbidire per non creare intralci e pericoli.

Allora, quei petardi (erano rivestiti da un involucro di alluminio sottile), avevano proprio questa funzione: avvisare dell'arrivo del treno. Va da sè che in stazione si predisponeva il controllo per i passeggeri in attesa, l'altoparlante a più riprese invitava la gente a sostare dietro la striscia gialla e ordinava a chiunque di non attraversare i binari (non esisteva allora il sottopassaggio alla stazione ferroviaria di Busto Arsizio). A proposito; quella stazione ha una storia. Costruita in epoca fascista, nel 1927 avrebbe dovuto ospitare il Duce. Gran fermento in città (io non c'ero, sono del 1946. Me l'hanno detto in casa) e gli organizzatori erano "effervescenti" per il gran giorno.

Il Duce fece ingresso in città, ma in contemporanea, a Busto Arsizio era atteso S.E. il Cardinale Shuster. Da notare che il Duce approdava a Busto Arsizio per inaugurare la "nuova Provincia" del Alto Milanese. Fatto è che ad accogliere il Duce c'era poca gente, mentre la gran parte delle persone era ad accogliere il Cardinale. Si dice che, indispettito, il Duce abbandonò l'idea di Busto Arsizio Provincia e "decretò" l'unione di piccoli Comuni intorno a Varese. Stabilì che sarebbe stata proprio Varese ad "avere titolo della nuova Provincia". Per Busto Arsizio ci fu solo un accorpamento con i Comuni di Borsano e di Sacconago, "inglobati" da Busto Arsizio, a formare unica Città.

Quanto ci sia di vero in tutto ciò è abbastanza "nebuloso". Fatto è che ancor oggi, si recrimina per la mancata "promozione" (elevazione) di Busto Arsizio Provincia, anche se il "primato" di residenti, di Aziende, di ....Pil è di spettanza a Busto Arsizio, prima in tutto, anche senza "titolo" di Provincia.

Ritorniamo ai "ricordi di ferrovia". Noi ragazzi si raccoglievano i petardi (non tutti) dai binari e si "trattenevano" per dei giochi pazzi. In via Arnaldo da Brescia (dove oggi c'è il Pronto Soccorso) nei pressi della cinta muraria che delimitava l'Area Ospedale, non esisteva illuminazione. All'imbrunire, quel luogo appartato si popolava di coppiette per avere un po' di intimità. Noi ragazzi scavavamo a debita distanza, piccole buche dove si poneva una pietra con sopra il petardo e un ciuffo d'erba per mimetizzare....l'insidia. Poi si predisponevano pietre più grosse sul muretto  e, almeno sette/otto di noi si appollaiavano sulla sommità del muro.

Appena calavano le tenebre e anche le persone diventavano ombre, si aspettava l'arrivo delle coppie e, al segnale, una dopo l'altra si buttavano le pietre sopra i petardi, provocando un frastuono indicibile e un fuggi-fuggi degli "intimi" che ci faceva sbellicare dalle risate.

Ci sono altri ricordi in ....ferrovia. Li svelerò un'altra volta. Ora devo far visita a Giusepèn.

Gianluigi Marcora

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