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Busto Arsizio | 25 marzo 2021, 23:40

Nella basilica di Busto risuona un «Dante maestro di preghiera»

La lectio magistralis di monsignor Marco Ballarini è stato un momento elevatissimo. Pregare è incamminarsi

La lectio magistralis in basilica

La lectio magistralis in basilica

Ad aprire le celebrazioni organizzare dalla città di Busto Arsizio in occasione del settimo centenario della morte di Dante Alighieri è stato  un ospite d’eccezione, il prefetto della veneranda accademia ambrosiana e direttore dell’Accademia ambrosiana monsignor Marco Ballarini: dalla basilica di San Giovanni ha tenuto una lectio magistralis dal titolo “la preghiera nella Divina Commedia”.

A presentare la serata e a sottolinearne l’importanza è stata la vicesindaco Manuela Maffioli, che ha sottolineato come tutto ciò sia stato possibile anche e soprattutto grazie alla sinergia con la Fondazione liceo Crespi e con la parrocchia.

«Oggi è il Dantedì, il giorno in cui Dante Alighieri ha iniziato il suo cammino nella Divina Commedia – ha spiegato Manuela Maffioli – ed è anche il giorno in cui noi iniziamo un cammino che metaforicamente ci condurrà fino a settembre lungo un percorso in cui celebreremo questo grande poeta».

Anche Monsignor Severino Pagani, la professoressa Lucia Marrese presidente della fondazione Liceo Crespi e il sindaco Emanuele Antonelli hanno voluto esprimere il proprio ringraziamento e la propria gioia per la scelta di monsignor Ballarini, raccontando un percorso di preghiera e di rinascita che tutti speriamo sia lo stesso che affronteremo anche noi nelle prossime settimane e nei prossimi mesi.

A introdurre l’importante relatore è stato monsignor Alberto Rocca, direttore della Pinacoteca ambrosiana: «Monsignor Ballarini ci esporrà con grande sapienza questo tema, che riguarda una materia che non solo studia, ma ama da sempre; si tratta di un aspetto particolarissimo della Divina Commedia, che sarà estremamente interessante affrontare. Inoltre, a livello personale, devo dire che è veramente un piacere fargli vedere anche la mia casa, la mia basilica e il liceo dove sono cresciuto». 

Dante maestro di preghiera 

«Quello che tratterò stasera è un argomento non diffusissimo – ha esordito monsignor Marco Ballarini – non tanto la preghiera in Dante, tema ampiamento trattato, ma Dante come maestro di preghiera».

Iniziando dall’analisi del proemio del Paradiso, dove Dante stesso sembra voler porsi come guida di preghiera e spiegando che dopo aver letto del suo percorso molti sapranno come meglio pregare, il prefetto dell’Accademia ambrosiana ha sottolineato come il fine ultimo della Divina Commedia sia il passaggio dalla tristezza del peccato alla felicità della grazia.

«Se Dante si è proposto come maestro di preghiera seguiamolo – ha proseguito monsignor Ballarini – e questo ci porta al canto secondo del Purgatorio, dove incontriamo l’angelo nocchiero, che conduce le anime al purgatorio, anime che, durante la traversata, cantano a un asola voce il salmo In exitu Israel de Aegypto».Si tratta di un salmo che il poeta utilizza più volte nella sua opera, e che si presta ad essere interpretato su più livelli: quello letterale, in cui si narra la fuga dall’Egitto, quello morale, in cui si racconta la liberazione dell’anima, quello allegorico, con la narrazione della redenzione dal peccato, e quello spirituale, che tratta dell’esodo dell’anima da questo mondo verso la dimora definitiva.

«Questo salmo è il modello della Divina Commedia - si è affermato - che rappresenta il cammino di liberazione da quella schiavitù definitiva che è l’inferno, grazie alla traversata del deserto della purificazione, il Purgatorio, fino alla liberazione definitiva del Paradiso».

Mettersi in cammino

Mettersi a pregare, dunque, vuol dire mettersi in cammino verso Dio e abbandonare tutto quello che ci tiene lontano da lui, la vera preghiera è essere disponibile al cammino senza riserve.

Il viaggio del poeta prosegue, il tempo passa e Dante incontra una schiera di anime che cantano il Miserere, «un Salmo che si può dividere in due parte, la prima nel territorio della colpa, la seconda nel territorio della Grazia - si è detto - Nella prima parte torna e ritorna ripetuta l’invocazione Cancella, lava, purifica, mentre nella seconda viene più volte chiesto di concederci uno spirito saldo, costante e generoso.Si tratta del modello e della chiave di lettura di ogni preghiera del Purgatorio, del resto le prime parole del Dante pellegrino sono “miserere di me”, e forse ciò significa che si è preso l’impegno del salmista pentito: insegnerò agli altri le tue vie». 

Pregare è incamminarsi 

L’analisi del prefetto dell’Accademia ambrosiana giunge poi all’ottavo canto del Purgatorio, dove la squilla, la campana, chiama alla preghiera della sera, così come la celebra la chiesa al compiersi del giorno affidandosi alla divina provvidenza prima che giunga l’oscurità con i suoi pericoli.

Passaggio in cui vi sono numerosi riferimenti al canto Salve Regina e alla stessa Maria, che sono prologo ad una rappresentazione esemplare, quella del serpente, che fa ci racconta il rivivere il momento della tentazione.

«All’apparire del serpente, simbolo della tentazione – ha sottolineato Monsignor Ballarini – arriva il soccorso, gli angeli scendono, allontanano il serpente e tornano a guardia della valle; qui troviamo un altro momento di preghiera, durante il quale Dante è attivamente partecipe. Lo stesso poeta sente l’intensità della preghiera, nella quale si dice a Dio: sono qui a colloquio con Te, questo riempie in quest’istante tutto il mio essere, altro non mi importa».

Stando quindi a questa prima parte del purgatorio la preghiera cristiana è ad una voce, la divisione perde assolutamente qualunque significato e le anime sono tutte ugualmente penitenti in preghiera, con un cammino penitenziale da fare che comincia con l’esodo da noi stessi.«Non si può pregare senza essersi consegnati interamente all’interlocutore – ha concluso Monsignor Ballarini – e Dante maestro di preghiera ci insegna proprio questo. Pregare è incamminarsi, riconoscere che abbiamo bisogno della misericordia di Dio; pregare è consegnarsi a Dio perché tutti penitenti, tutti bisognosi di perdono e consegnati alla divina misericordia». 

Loretta Girola

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