«Mi chiamo Antonio Rossi, ho partecipato a cinque edizioni dei Giochi Olimpici e ho vinto tre ori, un argento e un bronzo. Sono anche arrivato quarto alla mia ultima Olimpiade, a Pechino. Un piazzamento che ha valore perché, a volte, il percorso che si fa è importante quanto una vittoria».
L’ex campione della canoa, oggi sottosegretario allo Sport in Regione Lombardia, si è presentato così, ieri, 9 settembre, agli studenti della Liuc – Università Cattaneo, suppergiù coetanei dei suoi figli. L’incontro rientrava nel progetto “Riconnessi”, ideato per fare prendere confidenza con ambienti e lezioni alle matricole. E agli iscritti che, l’anno scorso, per le conseguenze della pandemia, non hanno potuto frequentare con regolarità. Tema dell’appuntamento, le soft skills, le competenze trasversali indispensabili a qualunque figura professionale, a partire dai manager.
Botta e risposta amichevole, informale, introdotto da Emanuele Strada, docente Liuc e coordinatore del progetto. A moderare, il rettore, Federico Visconti. Che ha rotto il ghiaccio chiedendo a Rossi: cosa caratterizza i maestri? Risposta: «I maestri ti fanno capire che stai facendo qualcosa di importante. Nello sport sono gli allenatori, certo, magari il presidente della tua società. Ma possono essere maestri anche i compagni di allenamento. La gara la vinci prima di farla. In allenamento, appunto».
Sintesi tra diversità e capacità di conciliarle, Rossi ne ha parlato sia dal punto di vista dell’ex sportivo professionista che da quello di sottosegretario. «Ho cambiato diversi compagni di allenamento e di gara, a volte all’ultimo minuto o quasi. Non è semplice, soprattutto quando si hanno caratteri e caratteristiche difficili da conciliare. Eppure, tanto per fare un esempio, con Beniamino Bonomi, diversissimo da me, ho fatto la gara più bella, a Sidney. Occupandomi della candidatura di Milano e Cortina per le Olimpiadi del 2026 mi sono misurato con tanti territori. Tante esigenze e aspirazioni. Una candidatura diffusa. Ma siamo riusciti a fare squadra e a ottenere i Giochi, battendo una concorrenza agguerrita, a partire da Stoccolma». «Quando arrivi in un posto di lavoro, non scegli tu i tuoi colleghi» ha tirato le somme Strada.
Incalzato dalle domande degli studenti, Rossi ha ricordato il valore dell’impegno: «La formula stando alla quale se lavori tanto ottieni tanto non è sempre vera. Ma se non lavori tanto certamente non otterrai tanto. Io mi allenavo molto, 7 ore al giorno. Percorrevo in canoa 40 o 50 chilometri al giorno. Forse non erano tutti indispensabili per raggiungere risultati ma servivano a me per essere sicuro di avere fatto il possibile. Una certezza che mi ha aiutato anche nei rapporti con la stampa, quando la pressione dei giornalisti è cresciuta».
Sulla vita privata: «Tra gare e allenamenti passavo buona parte dell’anno all’estero, tendenzialmente in luoghi caldi. Anche molto distanti: California, Florida, Australia. La passione per la canoa mi ha aiutato a stare lontano, forse ha sofferto di più chi rimaneva a casa. Per fortuna mia moglie è stata a sua volta canoista e ha sempre avuto la consapevolezza che non ero in giro per divertirmi».
E lo studio? «È stato l’impegno prioritario fino ai 19 anni. Finito il liceo mi sono iscritto a Economia e commercio ma non ho concluso il percorso: arrivavano i risultati sportivi, non mi sono laureato. È, forse, quello che oggi mi manca».
Visconti ha sollecitato Rossi sulla delusione. Lui: «Non deve arrivare da una sconfitta. Nella vita di un atleta sono di più le volte in cui si perde rispetto a quelle in cui si vince. La delusione vera arriva quando non dai il massimo, quando sai che potevi ottenere un risultato e non ce l’hai fatta».
Inevitabile la domanda sui media e sulla notorietà. «Hanno iniziato a invitarmi in tv. Le apparizioni mi davano visibilità e piacevano agli sponsor. Grazie ai quali la mia carriera, probabilmente, si è un po’ allungata». Un rapporto vissuto tutto sommato serenamente, dunque. Con la sottolineatura di qualche stranezza: «A un certo punto partecipai a un varietà, un programma estivo. Avevo vinto da poco l’oro alle Olimpiadi. Ma in strada venivo riconosciuto per “Beati tra le donne”!».