Attualità - 24 novembre 2021, 06:00

Haiti, a caccia di acqua e carburante. Assistendo il bimbo ferito che nessun ospedale accoglierà

Il dramma quotidiano raccontato da suor Marcella Catozza: «Qualcosa accade a ricordare che non è finita. Peterson e il suo ferimento fuori dalla baracca, ce l'ha portato il fratello, dal buio è venuto e nel buio ritorna»

Il bambino accompagnato dal fratello

Il bambino accompagnato dal fratello

A caccia di acqua e diesel. A caccia di normalità. Ma ad Haiti si fa in fretta a ripiombare nel buio.

Suor Marcella Catozza continua a raccontarci ciò che accade perché non ci si dimentichi della sua gente, a partire dai più piccoli. È sempre un intrecciarsi di sforzi di riprendere fiato e di paura.

«Qui tutto procede in silenzio e la vita scorre barcamenandosi tra la ricerca di Diesel e di acqua potabile perché restano difficili da trovare - dice - Se non sapessimo cosa abbiamo vissuto nei giorni scorsi non ci sarebbe da crederci! Ma invece qualcosa accade a ricordare che non è finita: avvolto dal buio della notte anche se sono solo le sette, arriva Peterson, 13 anni».

È il ragazzino rimasto ferito accidentalmente: «Dalla sua baracca aveva cercato un luogo per svuotare i suoi intestìni, qui si fa tutto in strada coperti dal buio, ma una pallottola vagante gli ha trapassato una coscia. Per fortuna entra e esce e non tocca la femorale. Se l’avesse presa in pochi minuti quella pallottola gli avrebbe portato via la vita. Arriva accompagnato dal fratello, un ragazzone che non smette di ringraziare».

Anche questo triste episodio si innesta su una situazione di vita normale di comunità: «Io sto facendo una delle mie prediche ai piccoli della Kay nounous, orsacchiotti, che hanno rotto i giocattoli dei bimbi disabili. Devo lasciare la predica e l’eventuale punizione….. alle nounous è andata bene! Vado da Peterson e lo lavo, disinfetto, verifico che non ci siano altri fanno, lo fascio, gli do l’antidolorifico e l’antibiotico e gli propongo di raggiungere il giorno dopo un ospedale dove fare una radiografia o una risonanza per valutare cosa ha toccato il proiettile».

È un suggerimento che si fa con tristezza: «Già so che non troverà nessun ospedale ad accoglierlo ma glielo dico perché la speranza che qualcosa cambi c’è sempre. E così dal buio è venuto e nel buio ritorna. La sua venuta ci ha ricordato che fuori non è ancora finita».

Marilena Lualdi

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