Giusepèn merita il titolo. In verità, lo merita sempre: per la sua saggezza, i suoi ricordi, la sua vita dentro il Dialetto Bustocco da strada. Quindi, col "ul Giusepèn l'è pizzu" non significa unicamente che è "su di giri", ma vuole specificare che Giuseppino è un tantino arrabbiato, ha l'impeto nel cuore che rasenta l'incazzatura (mi si perdoni simile accostamento), ma tant'è!
Parliamone quindi. Ci avviciniamo alla festa della Gioeubia che cade l'ultimo giovedì di gennaio.
Ne parliamo poi del significato di simile "festa" che ha ragioni antiche, specie in una civiltà contadina. Ora dedichiamoci al Giusepèn "arrabbiato". E gli facciamo spiegare le ragioni.
"Da nogn sa disi Gioeubia e naguta d'oltar" (da noi si dice Gioeubia e null'altro) catechizza il nostro mentore. "A sentu di e lengi... Giobia, Giubiana e caicossa d'oltar, ma l'e sbagliò" (sento dire e leggere Giobia, Giubiana e qualcos'altro, ma è sbagliato) - "chi ga parla insci i disan non paol Bustocchi, ma ghe dentu ul Talian" (chi parla in quel modo, non utilizza parole Bustocche, ma le italianizzano senza ragione) - "ul Dialettu Bustoccu da stràa al droea Gioeubia e naguta d'oltar e al voi non mesciò i paol" (il Dialetto Bustocco da strada, utilizza il termine Gioeubia e null'altro e non accetta questo mescolare di parole).
Fatto lo "sfogo", Giusepèn prende a prestito un ritornello di una splendida canzone Napoletana. Dice "chi prende per Francese, chi mi prende per Spagnola, ma io sono di Nola" per dire che "i fuesti, chi tòi can imparò ul Dialettu Bustoccu dopu can imparò ul Talian, i san non cusa l'e ul Dialettu Bustoccu da stràa... inveci chi àn gnui su cunt'ul Dialettu spatascià i parlan cunt'ul coei in man e i droan paol Bustocchi" (coloro che hanno appreso il Dialetto Bustocco dopo avere imparato l'Italiano non sanno cos'è il Dialetto Bustocco da strada... invece, chi è cresciuto col Dialetto indigeno parla col cuore in mano e utilizza le autentiche parole Bustocche).
Detto tutto ciò, Giusepèn rispolvera un ritornello stupendo che all'epoca (in questi anni di modernismo non l'ho più sentito cantare, ma chi ha i capelli bianchi, lo conosce, almeno) si cantava in coro intorno al grandioso falò che "bruciava l'inverno e tutte le cose brutte". Eccolo il ritornello:"a Gioeubia, a Gioeubia l'a mangia a cazoeula, la mangia a pulenta, a Gioeubia l'e cuntenta... l'e cuntenta in gignugiòn cunt'i man in urazion" (la Gioeubia -ripetuto due volte- mangia la cazoeula -bottaggio- mangia la polenta, la Gioeubia è contenta... è contenta in ginocchio, con le mani giunte).
Poche parole per illustrare la Festa della Gioeubia. I ragazzi raccoglievano ogni tipo di "scarto", come le stoppie nei campi, la legna che raccattavano nei boschi e quant'altro. Poi si costruiva il fantoccio con abiti sdruciti che venivano conservati proprio per questa "incombenza" e finalmente si costruiva la catasta con sopra la Gioeubia (il fantoccio, femmina o maschio o entrambi) e in coro si cantava. Significato della Festa? "bruciare l'inverno" che allora era rigido e con esso tutte le malevolenze che si erano verificate con l'anno vecchio. Vien proprio da dire... "Gioeubia forever, per sempre" e vietato cambiarle il nome... "eh mo' ul Nocino" (e adesso, cin-cin).