Quando arriva, "a madrizia" (la voglia) non c'è scampo: la si deve soddisfare. Giusepèn ha tanti di quegli esempi da raccontare sulla "madrizia" che a volte fanno sorridere e, altre volte, letteralmente fanno scaturire una risata bella e buona.
Quindi, la "voglia" di qualcosa o di qualcuno, è sempre in agguato. Di solito, dice Giusepèn, "ian i don in compra ca ghean a madrizia" (erano le donne incinta ad avere la voglia) e snocciola esempi che riguardano essenzialmente il cib... voglia di arance, di banane, voglia del gelato, magari in inverno, quando non c'erano bar o gelaterie in giro e, per soddisfare la "madrizia" si ricorreva a viaggi lontani, magari nella Metropoli pur di arrivare allo scopo.
Guai non soddisfare la "madrizia". Si rischiava troppo: in credibilità nei confronti dell'amata, ma pure col "pericolo" di vedere il nascituro con la "madrizia" addosso. Ad esempio, una macchietta a forma di neo sulla pelle della bimba o del bimbo nato, si "accusava" (era una prova) di una madrizia non soddisfatta (voglia di cioccolato) che suscitava rammarico, disattenzione.
Se sulla pelle del nascituro c'era una specie di "grumo" si dava la colpa alla "madrizia" di arance e il non vedere la pelle liscia, davvero era considerata una colpa. "Roba vegia" (argomento vecchio) dice Giuepèn, come a specificare che un tempo, la Società era più credulona di realista e, di fronte a un'imperfezione di qualsiasi genere, si dava la colpa alla "madrizia" non soddisfatta.
Altri esempi non servono, quindi agganciamo il discorso a qualcosa di attinente alla "colpa" che non è una "madrizia", ma un caso patologico da sviscerare. I ragazzi troppo vivaci, ad esempio, si sentivano ripetere "te ne fèi pissè che Raeta" quindi "te à radila" - detto così, non si suscita alcuna emozione, ma vediamone il significato. Evidentemente, Raeta era un "signore" così sfigato che commetteva ogni tipo di balordaggine. Sentirsi dire "ne hai fatte più di Raeta" era come avere la croce addosso che faceva capire che "ne avevi fatte troppe di marachelle" e la "sentenza" che... quel che segue, cioè "te a radila" (devi pagarla) era meritata. A ogni azione, segue una reazione: quindi "chi è causa del suo male, pianga se stesso" che equivale a dire "sappi che la punizione ti spetta di diritto e non ci sono deroghe al caso". Ecco come si viveva allora: di fronte a una colpa acclarata ci si doveva aspettare unicamente la punizione. Senza rimpianti.
Sia chiaro; non è che i genitori allora usassero la "mannaia" o la "frusta", ma il far-Giustizia era un metodo certo e comprovato che serviva a educare EDUCARE. Oggi (riconosciamolo) è parecchio diverso. Lo si nota da come certi genitori "difendono" i figli pur avendo riscontrato le loro colpe; da come taluni genitori "coprono" certe gravi marachelle; come certe espressioni dei figli, si tollerano (posso citarne una appena sentita?) la scrivo: "mio padre è un coglione e capisce un cazzo" detta da un ragazzo di 14 anni che mi ha rattristato. Non per la volgarità espressa dal ragazzo, ma per l'educazione (o ineducazione) ricevuta. Fosse successo in casa mia, la mia Pierina mi avrebbe "dato" tante di quelle sculacciate, da farmi indossare pantaloni di due taglie superiori alla mia: "te podi ben dila" (puoi ben dirla) dice Giusepèn e stavolta, nesuns accenno al Nocino.