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Storie | 12 maggio 2023, 08:05

VIDEO. Riccardo primo capitano tra il calcio e la chimica. Anzi il calcio è la chimica, anche a 84 anni

La vita incredibile di Riccardo Reguzzoni imprenditore-ricercatore di successo che ha girato il mondo e giocatore dell'Ardor: «Dovevo dimostrare a me stesso che potevo fare tutto anche se avevo una mano in meno degli altri, così decisi di fare il portiere. Angelo Turconi mi fece prendere al Borgomanero ma don Valerio si oppose in nome del "Superiore" dicendo che non eravamo mercenari». Dal cortile senza un vero pallone all'ultima pazzesca partita, passando anche da Gigi Riva

Riccardo Reguzzoni con Sandro Meraviglia e immerso nei ricordi all'Ardor

Riccardo Reguzzoni con Sandro Meraviglia e immerso nei ricordi all'Ardor

Riccardo, il calcio e  la chimica. Anzi, il calcio è la chimica.  Perché nonostante Reguzzoni sia un manager, un inventore e imprenditore di successo e abbia girato il mondo per lavoro, il cuore batte sempre lì: per il calcio, per l’Ardor di Busto Arsizio alla cui storia ha preso parte fin dall’inizio.

Portiere, 84 anni il prossimo 19 giugno, come la mattina ama ancora andare in azienda, i pomeriggi più belli sono quelli dagli amici di via Bergamo: arriva il primo capitano della società calcistica sbocciata a Sant’Edoardo grazie alla scintilla sprigionata nel 1955 da don Valerio Sosio, dal futuro sindaco Angelo Borri e da tutti coloro che avvertirono quel fuoco dentro di sé: chiamare i ragazzini innamorati del pallone - anche quando non si poteva chiamare così - e unirli attorno alla fiamma di valori.

Una questione di chimica

Signor Reguzzoni, fra calcio e chimica facciamo 50 e 50? «Ma no – esclama, accanto a lui il presidente Sandro Meraviglia – novanta e dieci. La chimica è una professione, il calcio una passione»·

Colpisce, perché la vita  professionale di Riccardo è incredibile. E anche se lui cita spesso la parola fortuna, il talento e l’impegno sono i protagonisti assoluti. Ha giocato a calcio fino a 35 anni – pur con un interessante fuori programma un po’ oltre -, saltando pochi anni da giovane per studiare chimica appunto. Bisogna insistere per fargli dire: «Ci sono le coincidenze, e poi sì, ci dev’essere qualcosa dietro».

Riccardo Reguzzoni la mattina passa ancora in azienda periodicamente. Il pomeriggio, appena può, corre dall’Ardor. Ma da bravo bustocco nato e cresciuto in viale Alfieri dove passava una sola auto o giù di lì quand'era ragazzino, prima parliamo del dovere.

«La mia azienda si chiama Agroser – spiega Reguzzoni - e mi sono occupato per tutta la vita di fitofarmaci. Io lavoravo alla Sir di Rovelli a Solbiate Olona e c’era un settore resine, eravamo 550 dipendenti nel 65-66 con un turno di 100 uomini al mese. Immaginatevi che tutti i sabati fuori dalla portineria a mezzogiorno, quando uscivamo, c’erano tubisti, elettricisti, meccanici e chiedevano a tutti quelli del mestiere: “Vuoi venire da me? Ti do dieci lire in più di quello che guadagni qua”». C’era un una struttura sulle resine fenoliche e ureiche. Lui è capolaboratorio, ci si occupa in modo particolare dell’agricoltura. La Federconsorzi distribuisce ciò che viene realizzato qui. Prodotti da tutelare, con test tossicologici anche molto costosi: si parla di qualcosa come 12 miliardi di lire.

Riccardo stupisce per la sua capacità di ricerca, riesce a risolvere un grosso problema in un momento in cui si afferma un prodotto americano. Il suo, arriva e conquista l’Australia. Lui viaggerà in lungo e in largo, l’America Latina è sua, ma visita anche Arabia Saudita, Siria, Grecia, Turchia nei primi anni Ottanta. Quando arriva in Brasile, appena c’è un momento libero, esce e va nel parco: viene fermato dalla polizia, che lo invita a tornare in hotel e lasciarvi soldi e orologio o è troppo pericoloso circolare. In Argentina, il coltello che serve a grattare gli ugelli di una barra, otturati dalla sostanza, va bene anche per tagliare il panettone di quel Paese e bisogna accettare in silenzio.

Le vendite vanno bene e lui minimizza: «Era facile, perché era solo una questione di prezzo. Nel mondo c’erano 120mila tonnellate di produzione, io a quei tempi ne avevo 6-7mila da piazzare». Eh, solo questione di prezzo, dirlo di questi tempi non vale. Bisognava avere l’arte bustocca per trattare? «Ma no – si schermisce – io  non ero portato, ero uomo di numeri e non di mercato».

Ci vuole fortuna... Ma Riccardo è geniale ed è un gran lavoratore: sotto, due giorni dalle 8 alle 20, poi riposo. Solo che il calcio gli  scorre nelle vene, fin da piccolo.

Esisteva il cortile

I primi calci? Il suo ricordo suona come una sentenza ai tempi attuali troppo spesso svuotati di spazi liberi per i bambini: «Esisteva il cortile». Con un senso di giustizia tra i giovani: «Facevamo la partita, noi ragazzini in 4-5 contro quelli grandi, in 2».

Quello che non esisteva era il pallone, come in un Paese da lui amato insegnava Pelè: «Usavamo il gozzo di maiale e poi andavamo fuori dal campo da tennis, l’unico che c’era, e prendevamo quelle palline. Siamo diventati bravi con le palline da tennis». In un cortile dove giocavano, c’erano i servizi igienici e ahimè, la pallina a volte faceva irruzione nella finestrella e anche oltre: recuperarla, un’operazione da comiche.

Ma attenzione, il calcio sta fissando il talento Riccardo Reguzzoni. Che ha sempre fatto il portiere, ecco perché: «Sono nato con una mano sola di fatto, dovevo dimostrare a me stesso che potevo fare tutto nella vita. Anche se avevo una mano meno degli altri. Allora sono andato a fare il portiere». Si è sviluppato presto, Riccardo, e ha indubbie qualità fisiche e tecniche che gli permettono di sopperire alla mancanza di presa con la mano in difficoltà. All’inizio, sostituisce il portiere principale quando è in fonderia, ma conquista un tigrotto come Angelo Turconi.

La vecchia gloria della Pro Patria prende a cuore il ragazzo: allora non c’erano i cellulari, ma neanche i telefoni. Passa dalla mamma di Riccardo in Vespa, con la sua autorevolezza e le lascia i biglietti che fissano il ritrovo.

Fatti trovare stasera alle otto dal Gemìa che passo a prenderti.

Il portiere dell’Ardor ha 16 anni, ma così riesce a prendere i primi soldi. Poi, il colpo di scena: può diventare l’estremo difensore del Borgomanero, verrà acquistato per un 1.550.000 di lire circa e potrà prendere 14.500 al mese di rimborso spese nonché 2.500 lire in caso di vittoria in casa e così fuori.

Son fior di soldi, in quell’epoca, e all’Ardor si conviene che va bene così. Senonché arriva don Valerio: «Ho parlato con il Superiore e non vendo i miei ragazzi, non sono mercenari».

Che delusione, un’occasione d’oro sfumata. Riccardo assicura che non giocherà più, ma il richiamo di quel campo, di quegli amici è troppo forte. C’è un’altra delusione che arriverà, quando si è primi in classifica sul Magenta e Reguzzoni prende un gol «per colpa mia». Per un malinteso con un compagno. C’è chi lo accusa di aver venduto la partita e avrà una reazione sdegnata, che lo condurrà alla squalifica a vita. Lui non presenta ricorso, ma successivamente viene fatta giustizia.

Tant’è che verrà ceduto al Laveno e lì giocherà con Gigi Riva, capace in seguito di accompagnare il direttore generale della società a convincere Riccardo a non smettere. Ormai, però, il bustocco ha deciso: «Avevo il mio modo di prendere la palla, ma con il tiro dei più forti era difficile».

Lo studio, poi il lavoro, la carriera e infine la propria azienda. Dove va tre giorni la settimana ancora, oltre a portare a spasso il cane e prendersi cura del suo giardino. Ma i pomeriggi all’Ardor sono la magia che si rinnova. Ci porterà due dei suoi nipotini, incontra gli amici.

L'ultima partita

Che cos’è per lui l’Ardor?«Entra nel sangue senza che tu lo richieda, rimane dentro – racconta – ne abbiamo combinate tante…». Borri, Mutinelli, scorrono i nomi e non ci stanno tutti: «È la storia della mia vita, io ho cambiato vita ma la storia è rimasta. Una libertà spirituale che non ha confini. Il calcio… io vengo qua e trovo tanti amici».

Lo convinsero, anche, a disputare un’ultima partita al sessantesimo della fondazione dell’Antoniana come over 45: «Sei il primo capitano dell’Ardor, entri con Luigi Gualdoni primo capitano dell’Antoniana, quindi esci». Solo che Riccardo para subito un tiro insidioso, a 74 anni. Parata bis: «Fodrini, mi cambi? No no, te stai lì… Abbiamo vinto 2-1».

La storia non finisce

«Questa è bella, devo raccontartela». Quando Riccardo Reguzzoni - con la sua raffinatezza che ispira simpatia - si rivolge a te così, devi sederti e ascoltare. Sai che viaggerai nel tempo, che sorriderai e sarai accarezzato dalla nostalgia. Prima di ripartire per il futuro: perché anche in questi contorti tempi, i valori di un gruppo di uomini che decisero di chiamare a sé quei ragazzi innamorati del pallone e dell’amicizia, i valori di una città, continuano.

GUARDA IL VIDEO

Marilena Lualdi


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